“Grazie Messico!”: la storia di Andrea!

LaStoriaDiAndreaM Mi chiamo Andrea, milanese, 50enne, nel D.F. da oltre 10 anni. Nel lontano 1992 quando ancora vivevo e studiavo in Germania, venni a Città del Messico per la prima volta con quella che allora era la mia fidanzata, una storia durata 13 anni e poi finita nel nulla. Bettina, così si chiamava, l’avevo conosciuta in una vacanza sul lago di Garda, e l’avevo praticamente costretta a fare quel viaggio. Lei avrebbe preferito fare una vacanza riposante in qualche isola greca, ma quando andai in agenzia a prenotare, non trovando voli disponibili per le Cicladi e isole vicine decisi di prenotare a sorpresa un volo di andata e ritorno per la Ciudad. Un viaggio molto diverso dai piani originari lo ammetto e tornando da lei pensando di farle una gradita sorpresa, questa quasi mi lascia. Alla fine partimmo, e quel viaggio mi cambiò la vita, solo che ancora non lo sapevo. Di quell’avventura mi porto dentro un’immagine che rivedo spesso nei miei pensieri: è l’ultimo giorno e io sono seduto in una rosticceria della Zona Rosa insieme alla mia (ex) fidanzata tedesca, sfinito ma allo stesso tempo entusiasta per tutto quello che avevo vissuto, ma se qualcuno mi avesse detto che 10 anni dopo sarei stato un abitante di questa megalopoli, gli avrei certamente chiesto di darmi il telefono del suo fornitore di marijuana. E invece la vita fa dei giri incredibili, inaspettati, e da abitante di Duesseldorf con un lavoro stabile, una carriera da dirigente in un gruppo tedesco, 13 anni di fidanzamento e progetti di matrimonio, mi ritrovai nell'aprile del 2002 sull'altare, sì, ma non sulle sponde del Reno, bensì in una chiesetta di Città del Messico. Al mio fianco Consuelo, la donna della mia vita, messicana di Tierra Caliente, una delle zone più belle e difficili del Messico. I primi anni insieme li passammo in Italia, sulle sponde del Lago di Garda, proprio dove anni prima avevo conosciuto Bettina (un altro scherzo della vita), ma presto decidemmo di fare i bagagli, attraversare l’oceano e venire qui, nel D.F. dove Consuelo gestiva un’attività con la sua famiglia. Dopo un periodo di adattamento, non volendo lavorare insieme alla mia consorte, con l'aiuto di uno dei miei cognati, aprii una piccola attività di distribuzione di tessuti, proprio nel cuore della città. In una modesta soffitta al terzo piano di una vecindad (casa di ringhiera tipica della colonia spagnola), mi ritrovai a vendere tessuti a fabbriche di abbigliamento. Per essere più esatti, vendevo loro il forro, cioè le fodere in acetato. I clienti mi chiamavano per telefono e ordinavano gli articoli che gli servivano come si fa con la pizza a domicilio. Come ogni inizio non è stato semplice e potevo permettermi solo un aiutante: Samuel, detto El Muelas, un amico di mia moglie che aveva lavorato in azienda da loro diversi anni. Samuel spesso in preda ai postumi della sbornia, quella che qua chiamano cruda, non si presentava al lavoro così mi dovevo rimboccare le maniche e consegnare, con il supporto del carretto che qui si chiama Diablo, bobine di tessuti ai vari clienti in giro per il barrio della Merced. Un lavoro pesante e difficile. Spingere il Diablo per le strade della Merced stracolme di gente, banchetti di venditori ambulanti e moto in contromano non è proprio da tutti. È un'arte. Io non la dominavo e spesso mi trovavo incastrato contro il marciapiedi senza sapere cosa fare. In poco tempo divenni famoso tra la gente del barrio, ero una rarità, un guerito medio fresa (un viso pallido un po´fighetto) che faceva il lavoro dei facchini. Qui, soprattutto nel settore tessile, esiste un forte classismo. Probabilmente, anche il fatto che mi “abbassassi” a fare un lavoro umile, mi rese benvoluto. Passavo ore in strada a chiacchierare del più e del meno un po’ con tutti, ma soprattutto mi piaceva discutere di calcio (qui sono fanatici del calcio più che in Italia) con negozianti, commessi, venditori ambulanti, vagabondi, mendicanti, ladruncoli ecc. Per fare 100 metri per andare in banca, ci mettevo quasi 2 ore! Mi piaceva questo calore umano, questa semplicità con la quale la gente qui allaccia rapporti. Probabilmente ne sentivo molto la mancanza dopo l’esperienza di vita in Germania. Qui non esistono barriere. Più in basso vai e meno queste si fanno notare. Fu così che il Direttore Generale Italia , il dottore, come mi dicevano in Italia, si trovò a spingere diablos sotto il sole cocente del D.F., a salutare de cuates al venditore ambulante della Merced e a mangiare tacos del Tio sporcandosi le mani di salsa piccante. Nel giro di poco tempo mi sentii più a casa qui, che in 10 anni in terra teutonica. Questa terra ti mette alla prova, ma se la rispetti e sai adattarti ti ripaga- Oggi non spingo più i diablos in giro per la Merced, l’attività è cresciuta, e forse per qualcuno non sarà allo stesso livello della carriera che ho lasciato ma una cosa è certa: mi sento più vivo, più vero, e soprattutto più felice! Una persona un giorno mi disse: “Uno dei segreti per essere felice è vivere in un posto che davvero ti piaccia”. Quella persona aveva ragione. Ora vivo nel Centro Storico del D.F. e posso dire con certezza che amo questa città, amo la gente che la abita (soprattutto mia moglie hahahaha) e senza dubbio amo questo Paese. Grazie Messico!
Precedente Quella lingua universale chiamata CALCIO! Successivo Pura Vida!

Un commento su ““Grazie Messico!”: la storia di Andrea!

I commenti sono chiusi.